19-12-2025
19-12-2025
Tempo di lettura: 10 minuti
Durante lo scorso anno ho collaborato alla traduzione di un libro che considero di grande valore per chiunque si occupi di prodotto, progetti e manifattura. Il suo autore, Joe Justice, è uno dei primi ad aver portato in fabbrica – nel mondo dell’hardware reale, fatto di macchine, attrezzature e catene di montaggio – tecniche di sviluppo Agile normalmente associate al software. In un Paese come l’Italia, dove il tessuto industriale manifatturiero è ancora il cuore dell’economia, mi è sembrato naturale cercare di rendere queste idee accessibili anche in italiano, con una traduzione chiara e di facile consultazione.
Troppo spesso sentiamo ripetere che l’industria italiana (e, più in generale, quella europea) fatica a tenere il passo con gli sviluppi tecnologici globali. Eppure esistono approcci, come quello raccontato in “Scrum Master” di Joe Justice – o, in ambito italiano, in “La fabbrica Agile” di Claudio Saurin – che mostrano come sia possibile innovare più rapidamente, con minore spreco e maggiore efficacia, anche in contesti produttivi complessi. Non si tratta solo di adottare un nuovo metodo, ma di recuperare un ruolo da protagonisti nel modo in cui prodotti e servizi vengono pensati, realizzati e migliorati.
Per invitare alla lettura di questo testo, propongo di seguito quattro spunti che, a mio avviso, aiutano a cogliere il cambio di paradigma suggerito dal libro: il ruolo dello Scrum Master come servant leader, il miglioramento continuo come pratica strutturata, la centralità della formazione e delle community di pratica, e l’eXtreme Manufacturing come ponte tra Agile e mondo hardware. In chiusura, troverai anche alcuni link per ulteriori approfondimenti.
Lo Scrum Master è l’antitesi del tradizionale “capo progetto”: non è un capo, non assegna compiti da svolgere né prende decisioni sul business. È una persona che si mette al servizio di chi gli è intorno: protegge il team da interferenze esterne, crea le condizioni affinché tutti possano lavorare e collaborare al meglio, costruisce un ambiente positivo.
Egli è il motore che si trova dietro alle trasformazioni quotidiane; non è solo un “cerimoniere” dei momenti rituali di qualche framework, ma è una persona che cerca di far emergere i problemi in modo da poterli affrontare e risolvere. Non vuole fingere che vada tutto bene, ma vuole che tutto funzioni realmente. Lo Scrum Master agisce da traduttore tra le necessità del team e le richieste del management e, nel suo ruolo, può essere anche schietto e diretto.
Il suo compito potrebbe essere riassunto in “specchio per l’ego individuale”, nel senso che deve comprendere le altre persone e metterle davanti ai propri limiti in modo che esse li affrontino a vantaggio di una migliore collaborazione. In quest’ottica, però, non agisce solo nei confronti delle singole persone ma anche dell’intera organizzazione, e cerca di promuovere il cambiamento organizzativo al fine di aumentare l’efficienza complessiva, anche a discapito di quella di un singolo reparto.
Il valore del suo ruolo può essere riassunto così: cercare di mantenere vivo il framework attraverso una continua tensione che punta a una maggiore velocità, a processi più trasparenti e a relazioni più umane.
Molte aziende vedono la formazione e il miglioramento come un tema opzionale: “sarebbe bello farlo, se solo avessimo il tempo…”. Un approccio come Scrum, invece, porta alla necessità di integrare questo miglioramento nel proprio lavoro attraverso momenti espliciti e ben definiti. A ogni iterazione, infatti, il team deve riflettere su ciò che ha (o non ha) funzionato durante il periodo precedente e capire, da esso, come realizzare interventi mirati in campi come: flusso di lavoro e di sviluppo, pratiche tecniche da implementare, relazioni interne ed esterne al team, rapporto con gli stakeholder, ecc.
Tra uno Sprint e l’altro non servono rivoluzioni incredibili, ma bastano piccoli e continui miglioramenti che possano essere valutati e verificati al termine del periodo successivo.
Lo Scrum Master, in quest’ottica, è il custode del processo di miglioramento. Il suo compito è quello di fornire soluzioni personalizzate sul gruppo di lavoro che ha di fronte a sé, mantenendo il massimo della concentrazione possibile sui problemi reali ed evitando che le retrospettive si trasformino in elenchi di lamentele e rimostranze.
Il miglioramento continuo (kaizen) è un approccio possibile e funzionale se, e solo se, lo si riesce a implementare efficacemente all’interno del proprio lavoro. Non deve essere un concetto calato dall’alto, ma qualcosa di realmente percepito e interiorizzato sia dall’organizzazione nella quale lo si implementa sia dai singoli individui che fanno parte di questa realtà; in questo modo il team non solo migliora il prodotto a ogni Sprint, ma migliora anche se stesso e il suo modo di lavorare e di affrontare problemi sempre più complessi.
Così come si richiede al team di operare un miglioramento continuo, anche lo Scrum Master deve porsi all’interno di un continuo ciclo formativo che non si esteriorizza solo con libri, certificazioni e concetti teorici, ma soprattutto con la pratica e l’esempio quotidiani.
Se, infatti, non si può fare a meno della teoria, che aiuta a strutturare i propri pensieri, essa non sarebbe nulla senza il confronto con altri che, magari, hanno già affrontato i nostri stessi problemi. Lo Scrum Master, infatti, deve potersi confrontare all’interno di gruppi nei quali discutere delle difficoltà incontrate durante l’implementazione di una determinata pratica, dell’errata valutazione di una metrica o, ancora, di qualche difficoltà relazionale interna ai gruppi di lavoro con i quali si collabora. Proprio grazie a questo confronto continuo (e a una sperimentazione che ha affiancato la teoria appresa), Joe Justice è riuscito a definire comportamenti e azioni direttamente applicabili nei contesti hardware e non solo software.
Le comunità nelle quali operare questi confronti devono essere viste come intelligenze collettive dalle quali attingere e alle quali rivolgersi per operare un proprio cambiamento e miglioramento continuo. Se, infatti, uno Scrum Master chiedesse questo atteggiamento al proprio team senza metterlo in pratica in prima persona, risulterebbe vuoto, bugiardo, in altre parole poco credibile. “Agile” si ridurrebbe quindi solo a un concetto, a un’etichetta, e non aiuterebbe a modificare atteggiamenti e comportamenti che limitano le capacità dei gruppi di lavoro.
Da ultimo, ma non per importanza, deriva la conoscenza tecnica vera e propria: il metodo (o, forse, è meglio dire mindset) che abilita all’utilizzo di Agile nel mondo hardware, l’eXtreme Manufacturing (xM). Questo approccio costituisce l’insieme di pratiche ingegneristiche che rendono possibile un livello di agilità estrema anche in questo contesto così tangibile, fisico e, apparentemente, lento.
Al centro di xM si collocano i concetti di modularità e flessibilità, che permettono di incrementare notevolmente la velocità di iterazione anche nell’ambito di progetti complessi. La modularità permette di realizzare in maniera indipendente ogni elemento basandosi sulla certezza che l’interfaccia con il modulo successivo sia uguale a com’era prima o che una sua modifica venga attentamente valutata da tutti i gruppi di interesse. La modularità permette anche di standardizzare i test e integrarli facilmente nel ciclo progettuale, in modo da accorgersi subito dei problemi e provare ad anticiparli (senza attenderli alle battute conclusive di un progetto).
La flessibilità, invece, è un elemento che riguarda soprattutto l’ambiente produttivo: la modularità di ogni gruppo permette, infatti, di definire aree di lavoro modulari anch’esse, che possono essere continuamente configurate per eseguire al meglio (e solo) ciò che deve essere fatto in quel particolare momento. Così facendo sarà possibile favorire facilmente lo sviluppo di idee nuove, seguire nuove rotte di mercato o implementare nuove scoperte tecnologiche. Tutto è votato a un miglioramento continuo che non deve aver paura di rompere con il passato qualora quest’ultimo dovesse risultare particolarmente inefficiente. La flessibilità, inoltre, permette ai gruppi di lavoro di auto‑organizzarsi, riducendo così i colli di bottiglia e gli sprechi di tempo, conoscenze e risorse.
eXtreme Manufacturing non è solo una tecnica: è un cambio di paradigma, un cambio di mentalità, un cambio di approccio ingegneristico votato al continuo (e rapido) miglioramento del prodotto e del processo produttivo.
In definitiva, il valore di questo libro non sta solo nelle idee che presenta, ma nella loro concretezza. Le storie, gli esempi e le pratiche descritte mostrano che un modo diverso di lavorare è possibile anche nei contesti più rigidi e “pesanti”. Non è una trasformazione immediata, né indolore: richiede competenze, disciplina, coraggio e la disponibilità a mettere in discussione abitudini radicate. Ma proprio per questo, figure come lo Scrum Master, pratiche come il miglioramento continuo e approcci come l’eXtreme Manufacturing possono diventare leve decisive per chi vuole davvero cambiare.
L’invito, quindi, è duplice. Da un lato, a leggere il libro con curiosità, lasciandosi mettere in discussione come professionisti e come organizzazioni. Dall’altro, a scegliere almeno un’idea – una pratica, un esperimento, un diverso modo di condurre una riunione o di organizzare il lavoro – e a provarla nel proprio contesto, per quanto piccolo possa sembrare. È solo così, un passo alla volta, che concetti come Agile, Scrum o xM smettono di essere parole di moda e diventano parte viva del nostro modo di progettare, produrre e collaborare.